Che storia lo Storytelling

Con la moda di utilizzare parole anglofone si è diffuso anche da noi il termine Storytelling.
Con questo termine però si intende qualcosa in più che il semplice “raccontare storie”.
Il suo significato assomiglia molto di più all’arte di abbellire e filtrare un racconto perché venga reso più appetibile e attrattivo.
Il buon Alessandro Robecchi nella sua serie di romanzi gialli con al centro l’autore televisivo e detective per caso Carlo Monteressi lo definisce “pettinare una storia”.
C’è anche una bella storia che secondo me spiega bene quest’arte.
C’era un mendicante cieco che chiedeva la carità su un marciapiede e il cartello con cui accompagnava il piattino per le offerte recitava: “Sono cieco aiutatemi per favore”. Il piattino conteneva solo poche monete quando passò un uomo ben vestito che lavorava in un’agenzia pubblicitaria che aveva sede li vicino. L’uomo guardò il piattino così povero, prese il cartello, lo girò e scrisse qualcosa con un pennarello nero. Il mendicante provò a chiedergli qualche moneta ma l’uomo posato di nuovo il cartello sul marciapiede se ne era già velocemente andato.
Alla sera l’uomo uscì dall”ufficio e tornando verso casa ripassò davanti al mendicante e vide il piattino pieno di monete e persino banconote.
Il mendicante l’aveva riconosciuto dal rumore delle sue scarpe di cuoio; gli chiese: <<Questa mattina non ti ho chiesto cos’hai scritto sul mio cartello. Da quando l’hai fatto sono iniziate a piovere offerte. Hai scritto qualche bugia?>> L’uomo gli rispose: <<No amico, ho scritto solo il vero: Oggi inizia la primavera ed io non posso vedere sbocciare i fiori>>

Le vite degli altri

Nel mio viaggio a Berlino del 2015 la guida italiana (ma residente da tanti anni a Berlino) mi ha consigliato la visione del film “Le vite degli altri”:  <<Racconta bene cos’era quel mondo>>  mi disse mentre  conduceva me e mia moglie per le strade dell’allora Berlino Est. Quindi nel momento in cui vidi il promo su Rai Uno diventai subito impaziente di vederlo.

Il film rischia di essere, all’inizio, un “mattone” : il clima di Berlino Est, le sue strade vuote rendono l’atmosfera cupa e deprimente. A tenere vivo l’interesse sono le tecniche della Stasi (Staats Sicherheit – sicurezza di Stato), il modo che hanno di entrare nelle case, nelle vite dei cittadini di cui dicono di voler mantenere la sicurezza. Imbarazzante il modo con cui il capitano della Stasi minaccia la signora che sbirciava dallo spioncino della porta; chiamandola per nome le dice: lo sa che se dice qualcosa di quello che ha visto suo figlio non potrà più studiare medicina, vero?

Col passare dei giorni, mentre spia lo scrittore Dreyman, il capitano Wiesler della Stasi da uomo dello Stato inizia a cambiare; capisce perché il potente ministro Hempf vuole screditare lo scrittore, cerca di metterlo sull’avviso, trucca alcuni rapporti per omettere che sta scrivendo un articolo per Spiegel in cui spiegare ai tedeschi occidentali perché in Germania Est nessuno tiene la triste contabilità dei suicidi.

Dopo aver mostrato l’angoscia degli arresti e degli interrogatori nel carcere della Stasi, il film arriva alla “liberazione” della caduta del Muro e finisce nei giorni nostri, in una Berlino finalmente pacificata e che ha proprio nei quartieri dell’Est una delle zone più belle ed interessanti.